Kingdom of Heaven. Sifilitici e sciiti: la prima crociata

Scenario A, "Deus lo Vult! La prima crociata".
Cristiana: Laura Beltrami
Musulmano: Alex Isabelle

È la fine dell'undicesimo secolo. L'Asia Minore è stata occupata, nel corso degli ultimi vent'anni, dai turchi selgiuchidi, che hanno eroso i confini dell'Impero Bizantino fino ad obbligare quest'ultimo a cercare un'alleanza con i regni della cristianità occidentale, i quali, a differenza sua, stanno passando un periodo di discreta prosperità. Papa Urbano II, già alla ricerca di idee per orientare questa nuova potenza verso le terre degli Eteni, non si fa mancare l'opportunità di formulare una soluzione in grande scala. Viene quindi indetta la prima crociata; chi parteciperà riceverà l' espiazione totale dei suoi peccati.

Il gioco non tratta del primissimo contingente di crociati giunto in terra santa, quella "Crociata dei pezzenti" guidata dal visionario Pietro l'Eremita, un corpo di ventimila soggetti senza né armi né disciplina, dediti alla violenza antiebraica, che vennero trucidati persino dagli Ortodossi, sia ungheresi che bizantini, tanta era la loro capacità diplomatica, e che una volta giunti dalle parti di Niš seppero solo trovare la forza di compiere qualche saccheggio prima di essere ulteriormente e definitivamente sterminati. Tratta invece di quella che è la prima crociata canonica, ovvero il grosso corpo militare giunto da Costantinopoli nel 1097, formato da nobili, uomini d'arme, pellegrini provenienti dalla Francia, dalle Fiandre, dai possedimenti normanni in Italia e da un po' tutto il resto d'Europa. I leader che compaiono qui sono Raimondo di Tolosa, Goffredo di Buglione, Baldovino delle Fiandre, Boemondo di Taranto e suo nipote Tancredi d'Altavilla. Essi sono accompagnati inoltre dal generale Tatikios, dell'Impero Bizantino, giunto alla guida di un ridotto contingente di forze ortodosse.

Il gruppo, questa volta decisamente ben armato, riesce, dopo qualche tribolazione, a superare le montagne dell'Asia Minore, ingaggiando un contingente esplorativo guidato dal governatore di Antiochia stesso, Yaghisiyan, dalle parti di Herakleia, l'odierna Ereğli. Il gioco, a dire il vero, investe tale personaggio del non meglio precisato titolo di "emiro", però ho fatto un po' di ricerca (Wikipedia) e mi è parso di capire che possa essere costui il soggetto in esame. L'armata di Yaghisiyan viene immediatamente eliminata, dopo aver inflitto qualche piccola (ma costosa) perdita al gruppo crociato. Costosa perché, anche se i loro numeri sono enormi, nel corso di questa impresa i crociati non riceveranno verosimilmente alcun rifornimento, dovendo dunque farsi bastare le proprie forze: ogni perdita è dispendiosa, poiché riduce l'efficacia dell'armata sul lungo periodo. 

Incredibilmente, Yaghisiyan riesce a salvarsi dall'ecatombe, fuggendo tra le colline. I crociati procedono sul loro percorso, appoggiandosi alle città fortificate di Sis e Marash, nell'Armenia Inferiore, i cui governatori ortodossi supportano, ovviamente, la causa della riconquista cristiana. Viene ignorato l'importante porto di Tarsus, a sud dell'Armenia Inferiore, un potenziale punto strategico; si punta direttamente ad Antiochia, a dire il vero nota come Anatakya presso i pagani, difesa da un buon numero di soldati guidati da Duqaq I, il Re di Damasco.

Nonostante il gran numero di uomini, freschi e pronti alla presa della città, le cose, ad Antiochia, non girano come previsto. I difensori, supportati da un gran numero di soldati e da un accesso al mare che rende difficoltose le operazioni per bloccare completamente la città, si approccia all'imminente assedio con un altissimo morale, supportato anche dal fatto che nel frattempo l'Atabeg di Mosul, Kerbogha, è stato informato della situazione e si sta occupando di preparare un esercito di mujaheddin per prearare gli invasori.

Antiochia cadrà di lì a un po' di mesi, ma il Divino manderà segnali chiari ed inequivocabili ai crociati. Nel corso dell'assedio, infatti, si diffonde tra gli assalitori un'"epidemia".

La sifilide colpisce il campo degli assedianti.

Mettiamo fra virgolette la parola epidemia, perché pensiamo che una malattia che si comporti come tale dovrebbe colpire un insieme di persone, in tal caso un esercito, con una certa uniformità. In questo frangente specifico l'"epidemia" non ha invece sostanzialmente seminato danni tra le fila dei crociati. In compenso, ha colpito direttamente i leader di questi ultimi: Boemondo e Tancredi ci hanno lasciato le penne, mentre il leader assoluto, Raimondo di Tolosa, è quasi morto ed è rimasto fuori dai giochi per un anno intero. Che tale "epidemia" ignori il popolino e colpisca esclusivamente gli ufficiali è un fenomeno quantomeno sospetto. L'opinione che ci siamo fatti è che tra le fila dei cristiani ci fosse qualche meretrice affetta da un qualche morbo, diciamo la sifilide, e che questa arma batteriologica d'altri tempi abbia contagiato tutti gli importanti leader crociati. Risultato: ufficiali morti di sifilide, esercito salvo. Il conto torna. I cronisti del tempo saranno stati informati del fatto che, per salvaguardare l'orgoglio ferito dei regnanti di mezza Europa coinvolti in questo conflitto, sarebbe stato meglio scrivere sui loro resoconti che a colpire l'esercito dei crociati fosse stata, invece, un' "epidemia".

Raimondo di Tolosa, detto "il Sifilitico".

Comunque siano andate le cose, la guida dei crociati, rimasti senza oltre metà dei propri signori, passa quindi agli impavidi ma decisamente meno capaci Goffredo, Baldovino e Tatikios, i quali, anche grazie all'intervento di un non meglio precisato ingegnere italiano, riescono comunque a superare le difese di Antiochia, prendendone alfine il controllo. Le truppe musulmane vengono in gran parte passate a fil di spada; Duqaq viene catturato.

Nel frattempo, non mancano i guai anche dall'altra parte della barricata: fanno parte della lega islamica il Sultanato dei Selgiuchidi e gli Emirati di Aleppo e Damasco; non è invece coinvolto nella guerra il Califfato dei Fatimidi, un po' perché non direttamente coinvolto nelle diatribe di confine - alla fine, la questione che ha dato il via al tutto è una guerra di confine tra i Selgiuchidi e l'Impero Bizantino - e un po' perché diviso dagli altri regni islamici da alcune diatribe di carattere religioso: i Fatimidi, infatti, sono sciiti, e sono loro stessi interessati a lucrare da questa offensiva generale contro i sunniti. Nel 1098, quindi, cominciano ad infuriare diverse rivolte, operate da gruppi sciiti, ad Aleppo e Damasco. Ridwan d'Aleppo, il Re d'Aleppo, si ritira dal conflitto aperto, occupandosi di reprimere i dissensi all'interno del suo territorio; lo stesso accade alle rimanenti truppe damascene, che da lì in avanti non lasceranno più i loro territori.

L'assedio di Antiochia ormai prossimo alla conclusione.
Da notare l'intervento dell'ingegnere italiano

Il gruppo di crociati, nel mentre, si divide in tre. Qualcuno ritiene che, presa Antiochia, la questione sia da considerarsi chiusa: impacchettati i frutti del loro saccheggio essi prendono il mare e se ne tornano a casa. Goffredo, Baldovino e Tatikios constatano che quello attuale non può realmente considerarsi un successo, e quindi prendono sotto la propria ala metà dei soldati ora stanziati ad Antiochia e si avviano verso sud, andando ad assediare Tarabulus. Le truppe restanti di Antiochia, teoricamente sotto il controllo del sifilitico Raimondo, ancora intento a farsi curare dai medici greci che l'hanno accompagnato da Costantinopoli, si danno invece alle barbarie, saccheggiando ulteriormente la redenta Antiochia. Ne nascono litigi sulla divisione del bottino, i quali alimentano rancori nazionalistici evidentemente non del tutto messi da parte. Nel caos che ne segue, diversi di questi soldati si ammazzano tra di loro.

Proprio nel pieno di questo delirio sopraggiunge l'armata di Kerbogha, arrivato direttamente da Mosul assieme al legittimo governatore  di Antiochia, Yaghisiyan, e ad un enorme contingente di truppe a cavallo. Antiochia viene allora nuovamente assediata, stavolta dai musulmani. L'assedio si prospetta lungo: i progetti prevedono di terminarlo nel 1099, o semmai di non terminarlo proprio. Il vero scopo dei musulmani è infatti quello di bloccare all'interno di Antiochia il contingente, fortemente ridotto ma ancora capace di ferire, dei crociati anarchici responsabili del saccheggio della città, e così facendo dividere definitivamente le truppe cristiane.

Goffredo, Baldovino e Tatikios, tuttavia, riescono a concludere in men che non si dica l'assedio di Tarabulus, pressoché sguarnita, rinominandola immediatamente Tripoli, per poi risalire rapidamente verso Nord ed attaccare le truppe dell'Atabeg Kerbogha. Lo scontro è intenso e vede partecipare anche le truppe rimaste finora chiuse all'interno della città. Assieme, i cristiani riescono a scacciare le truppe selgiuchidi, che quindi retrocedono fino ad Edessa.

Le scarne forze di Goffredo, Baldovino e Tatikios.

Antiochia è salva, ma i cristiani cominciano a farsi i conti in tasca. All'alba del 1099 le truppe cominciano ad essere stanche di una guerra che tarda a dare i suoi frutti. Presso alcune cerchie si è parlato, ad inizio guerra, dell'eventualità di scendere verso Sud e provvedere ad una liberazione della stessa Gerusalemme, ma questo obiettivo ora appare oltremodo ambizioso. Si decide di ragionare in termini di "obiettivi piccoli, raggiungibili, che potrebbero far considerare questa guerra più un successo che un fallimento.

Grazie a navi offerte dai genovesi, evidentemente interessati a favorire un controllo cristiano dei mari di questa regione, un gruppo di soldati guidati dal redivivo Raimondo il Sifilitico, finalmente tornato in condizioni tali da permettergli di guidare la crociata, si occupa di fare vela verso Tarsus, il porto selgiuchide in territorio armeno, che ad inizio guerra era stato snobbato. Goffredo, Baldovino e Tatikios, invece, cercano di replicare il successo di Tripoli rivolgendosi verso oriente, in direzione di Ar-Ruha', la città che loro già prevedono di rinominare Edessa. Con Antiochia, Edessa, Tarsus e Tripoli i crociati dovrebbero essere in grado di prendere effettivamente il controllo della regione: la promessa di restituire questi territori all'Impero Bizantino, vista la quantità di sangue cristiano versato, è già stata dimenticata. L'operazione è chiaramente rischiosa e non tiene granchè conto della variabile rappresentata dalle forze selgiuchidi, sempre e comunque forti nonostante i problemi interni causati dagli sciiti.

La mappa prima del contrattacco selgiuchide.

Con una campagna relativamente veloce si riesce a prendere il controllo di Tarsus, la quale comunque non cede senza combattere, mentre Edessa viene cinta d'assedio con successo ed effettivamente bloccata. Tuttavia, Kerbogha stesso si mette alla difesa della città, con un grosso contingente di cavalieri arrivati direttamente da Mosul. Egli fin dal principio mostra di non avere alcuna intenzione di lasciar cadere la città. Yaghisiyan, invece, cavalca fino a raggiungere Tripoli, che si arrende immediatamente, cedendo all'offerta di pace lanciata dall'ex governatore di Antiochia. Egli procede immediatamente verso Nord, occupando in fretta un'Antiochia lasciata sostanzialmente deserta dai crociati, che forse non ritenevano possibile che i selgiuchidi potessero provvedere ad una riconquista così veloce dei territori a lungo ambiti. La città torna quindi a battere bandiere musulmana e Yaghisiyan torna sul suo trono, dopo due anni e mezzo di latitanza.

Sul finire del 1099, quindi, le forze cristiane sono ormai decise a lasciar perdere quest'idea della crociata di Papa Urbano II e fanno sapere di essere interessati a proposte per lasciar perdere questa brutta storia di Edessa e tornarsene tutti a casa. Non sappiamo i dettagli, anche se possiamo dedurre che sia stata disposta la liberazione immediata di Duqaq di Damasco.

La semplice liberazione di Tarsus non basta, infinte, a salvare gli esiti di una campagna colpita dalla malattia (e verosimilmente anche dal malocchio, se non addirittura dalla collera divina). I malmenati Goffredo e Baldovino, assieme al povero Raimondo e all'infelice Tatikios, si preparano quindi alla lunga marcia che li riporterà fino a casa, chi con qualche bottino, chi con qualche ferita, chi con la sifilide.

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